Sezione orientale


La Biblioteca dell’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, nucleo originario della sezione orientale della Biblioteca dell’IsIAO, fu istituita nel 1934 all’indomani della fondazione dell’Istituto stesso (1933) e al momento della sua fusione con la Biblioteca dell’Istituto italo-africano (1995) annoverava circa 60.000 volumi e oltre 400 titoli correnti di periodici specializzati. A partire da quel momento la sezione orientale ha continuato ad arricchirsi ed ampliarsi, grazie a doni (Fondo Maurizio Taddei, Fondo Ilya Gershevitch), acquisti di materiale moderno ma anche di alcune rarità bibliografiche, come ad esempio la Storia generale della Cina ovvero Grandi annali cinesi tradotti dal Tong-kien-kangmou dal padre Giuseppe Anna Maria de Moyrac de Mailla..., stampata in 36 volumi a Siena tra il 1777 e il 1781. Nata come supporto alle molteplici imprese culturali, dall’attività editoriale alle missioni archeologiche, dell’IsMEO e del suo fondatore, Giuseppe Tucci, la Biblioteca riveste particolare importanza in considerazione dell’unicità delle sue raccolte nel panorama italiano: opere di argomento storico, filosofico, religioso, artistico, con particolare riferimento ai paesi dell’Asia centrale, al subcontinente indiano e ai paesi dell’Estremo Oriente, sia nelle lingue originali (maggioritaria la presenza delle lingue del sub-continente indiano, dal sanscrito all’hindi, del cinese e del giapponese; comunque rappresentate le lingue del sud-est asiatico e del vicino oriente, persiano e arabo) sia nelle principali lingue europee. Fondato nel 1933 per promuovere i rapporti culturali tra l’Italia e l’Asia centrale, meridionale e orientale, l’Istituto per il Medio ed Estremo oriente fin dall’inizio presta particolare attenzione alla Biblioteca e persegue una attenta politica di incremento delle collezioni che si arricchiscono non solo attraverso gli acquisti, ma anche attraverso una avveduta politica di doni e scambi. La testimonianza di questa attività è riscontrabile consultando il Registro inventariale d’ingresso cartaceo, sostituito, in seguito alla fusione con l’Istituto Italiano per l’Africa (1995), con il Registro d’ingresso in formato elettronico. Non solo la consistenza delle collezioni rende naturalmente importante tale Biblioteca ma anche la stratificazione dei suoi fondi: ricostruire la loro storia, individuare provenienze e possessori, permette di precisare i contorni storici e cronologici di un ambito della vita culturale italiana – l’orientalistica e al suo interno le discipline più specifiche – ormai non più di competenza di pochi studiosi ma parte integrante delle conoscenze delle nuove generazioni.
Tra le acquisizioni dei primi decenni della Biblioteca ritroviamo nomi importanti dell’orientalistica dei primordi. Primo tra questi ricordiamo il maestro di Giuseppe Tucci, Carlo Formichi (1871-1943), professore di sanscrito prima a Pisa (dal 1898 al 1912) e poi a Roma dove insegnò fino al 1941. Ebbe l’onore di essere invitato nel 1925 a tenere corsi di sanscrito in India presso l’Istituto Santiniketan, la famosa “Dimora della pace” fondata e finanziata dal Premio Nobel bengalese Rabindranath Tagore (1861-1941). Dal 1929 fu membro della Reale Accademia d’Italia di cui fu anche vicepresidente. I libri conservati ben rappresentano il suo ambito di studio e il suo interesse per la cultura indiana, oltre che una particolare competenza nei riguardi della letteratura inglese.
Analoga carriera e analoga versatilità, in adesione ad un cursus studiorum emblematico dei suoi tempi, contraddistinguono Paolo Emilio Pavolini (1864- 1942), professore di sanscrito a Firenze (1901-1935), accademico d’Italia (1930) e grande studioso di numerose altre lingue, quali l’estone, il polacco, il greco moderno e il finnico grazie al quale tradusse il Kalevala (1900), epopea nazionale finlandese. I suoi vasti interessi anche nell’ambito dell’indologia sono testimoniati dalla varietà dei suoi scritti, dalla filosofia alla narrativa e dalla raccolta dei suoi libri pervenuta dopo la sua morte. Da non dimenticare il suo impegno per la diffusione della conoscenza in Italia della cultura indiana, testimoniato dalla traduzione, anche se parziale, del poema epico Mahãbhãrata, e da alcuni lavori divulgativi sui principi della dottrina buddhista. La prima generazione di orientalisti è rappresentata anche dalla raccolta proveniente da Alberto Castellani (1884-1932), sinologo. Allievo di Carlo Puini (1839-1924), professore di storia e geografia dell’Asia Orientale a Firenze dal 1877 al 1921, nella sua breve vita ebbe un incarico di Lingue e civiltà dell’Estremo oriente dal 1925 al 1927 all’Università di Firenze. Si dedicò soprattutto alle traduzioni di importanti testi del pensiero cinese: pubblica infatti la prima traduzione integrale italiana del fondamentale testo taoista, il Daode jing (Il libro della via e della virtù) e una traduzione dei Dialoghi di Confucio. I legami con il mondo giapponese, favoriti anche dal clima politico degli anni ’30, sono testimoniati dalle opere donate dal Barone Okura Kishichiro (1882-1963). Presidente dell’Associazione di amicizia italo-giapponese, organizzò a Roma nel 1930 una mostra d’arte giapponese al termine della quale fece dono di alcuni oggetti esposti al Museo d’Arte Orientale. La sezione giapponese si arricchirà in seguito anche grazie al dono della biblioteca del diplomatico Giacinto Auriti (1883-1969), ambasciatore a Tokyo dal 1933 al 1940. Rientrato in Italia, assume l’insegnamento di Storia della cultura giapponese presso l’Università di Roma che terrà fino al 1953. Svolge un’intensa attività pubblicistica su riviste specializzate quali Cipangu, Il Giappone. Negli anni ’60 dona la sua biblioteca e la sua collezione d’arte orientale all’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Quest’ultima entrerà a far parte delle collezioni del Museo d’arte Orientale. Un’altra piccola ma significativa raccolta di ambito giapponese proviene da Salvatore Mergè (1899-1965), interprete presso l’ambasciata italiana a Tokyo negli anni ’30, quando conobbe, e ne divenne discepolo, Morihei Ueshiba, fondatore dell’Aikido, arte marziale giapponese. Rientrato in Italia alla fine del 1944, introduce in Italia questa arte, insegna giapponese presso l’Ismeo e continua ad interessarsi di buddhismo, shintoismo e judo. Doni o scambi anche di singoli volumi o di raccolte più o meno consistenti da parte di studiosi - dal tibetologo David Snellgrove, al grande orientalista Louis Hambis - o da parte di importanti istituzioni politiche o culturali dei vari paesi - dai musei parigini Guimet e Cernuschi alle ambasciate di Iran, India, Giappone, Vietnam, sono indiscussa indicazione dell’importanza e del valore della raccolta, ma prova anche della riconosciuta valenza culturale dell’Istituto di appartenenza.