Carlo Levi

«Le attese del niente»: Carlo Levi tra scrittura e pittura

All’interno del museo Spazi900, dopo la sala Pasolini, dove è presente tra gli scrittori in borgata un’immagine del fotoreporter Rodrigo Pais che ritrae Levi alla borgata Gordiani nel 1961 durante le proteste degli abitanti per l’assegnazione di case, è stato inaugurato un nuovo spazio permanente dedicato proprio allo scrittore di Cristo si è fermato a Eboli. La realizzazione della sala è stata possibile grazie alla stipula di un contratto di comodato tra la Biblioteca e la Fondazione Carlo Levi di Roma relativo a sei quadri di proprietà della fondazione, con il fine comune di promuovere e divulgare la poliedrica personalità di Carlo Levi nella sua duplice veste di pittore e scrittore.

La sala si apre con un autoritratto, Autoritratto con fornello del 1936, posto sul cavalletto originale del suo studio, che non solo rimanda all'iconografia dell'artista, ma ne rappresenta uno dei momenti di svolta della vita pittorica e personale di Levi: il confino in Lucania. L'esperienza, durata dal 3 agosto 1935 al 20 maggio 1936, segna infatti un cambiamento sia in pittura con un nuovo approccio pittorico, la pennellata "ondosa", sia nella sua indole intellettuale in quanto si avvicina ad una realtà sconosciuta che lo porterà, qualche anno dopo, a scrivere il libro che lo ha reso famoso in tutto il mondo Cristo si è fermato a Eboli. Dall’esperienza del confino nasce infatti l’attenzione di Levi verso il mondo contadino, immobile, chiuso nelle sue tradizioni ancestrali, raccontato in Cristo si è fermato a Eboli, testimonianza e denuncia delle difficili condizioni di vita del Sud d’Italia, tra miseria e autentici valori umani. L’opera viene scritta in un momento di estrema tragicità, a Firenze durante l’occupazione tedesca, e vede la luce nel 1945. È esposta la prima edizione, insieme a due lettere autografe scritte dal confino ad Anna Maria Mazzucchelli, redattrice della rivista «Casabella», alla quale Levi stesso collabora.

Ai difficili anni fiorentini risalgono i ritratti degli amici Eugenio Montale, che ha recensito favorevolmente Cristo si è fermato a Eboli, e Carlo Emilio Gadda, esposti nella sala insieme a quelli di Cesare Pavese, Italo Calvino e Rocco Scotellaro, prova dei suoi rapporti letterari e della sua viva partecipazione all’ambiente culturale del tempo. In un museo della letteratura l’attenzione verso l’opera pittorica di Levi non poteva non cadere sui suoi famosi ritratti di scrittori, due dei quali – Montale e Calvino – sono autori di Spazi900, presenti nella Galleria degli scrittori, mentre al centro della Stanza di Elsa domina il ritratto della Morante sempre a firma di Levi.

Anche nel dopoguerra l’attenzione verso il mondo contadino lucano rimane costante come mostra l’amicizia che lo lega al giovane Rocco Scotellaro, qui rappresentato con un carboncino su carta. Dopo la prematura scomparsa del poeta lucano, Levi non solo scrive la prefazione al romanzo apparso postumo L’uva puttanella, ma affronta il tema della sua morte nel quadro Lamento per Rocco Scotellaro e nel famoso telero Lucania ’61.

Tuttavia a Roma – nel 1950 esce L’Orologio, di cui è esposta la prima edizione – il suo sguardo è destinato ad abbracciare il mondo delle borgate e le trasformazioni di una città che ormai sembra aver rotto l’antico rapporto con la campagna e con la civiltà contadina come emerge dall’articolo in mostra Vita delle «borgate»: dai pastori ai sottoproletari di Roma, apparso su «La Stampa» il 17 aprile 1962. Spetta proprio a Levi firmare la prefazione ad Accattone dell’amico Pasolini e, quando nello stesso anno lo scrittore si reca alla borgata Gordiani insieme al fotoreporter Rodrigo Pais, «l’Unità» titolerà l’articolo in modo estremamente significativo: Levi: i tuguri di Gordiani come i «sassi» di Matera.